John Rambo è un personaggio entrato nell’immaginario collettivo. Ma la sua vicenda ci riguarda da vicino
Insieme a Rocky, Rambo è certamente il personaggio più noto, amato e iconico tra quelli interpretati, nel corso della sua lunga carriera, da Sylvester Stallone. Oggi, a distanza di oltre 40 anni dall’uscita del primo capitolo della saga, spunta fuori un incredibile retroscena. E c’è di mezzo un italiano…
Sia Rocky che Rambo racchiudono nella loro epopea dei significati profondi e metaforici. Il pugile di Philadelphia è l’emblema dell’uomo proveniente dai sobborghi che, con fatica e gavetta, riesce a sfondare nella vita, affrancandosi da origini umili e difficili.
Rambo, invece, tratteggia un problema assai diffuso e grave negli Stati Uniti: i disturbi post-traumatici dei reduci di guerra (nella sua fattispecie quella in Vietnam, ma vale per tutte), che faticano a riadattarsi alla vita normale.
In entrambi i casi, si tratta di due delle saghe più longeve e apprezzate del cinema. Il primo capitolo di Rambo è addirittura del 1982. E oggi, a oltre 40 anni dall’uscita nelle sale di quel cult, arriva una verità sconvolgente.
Rambo era italiano
Si intitola “Kill me if you can” il documentario che svelerebbe un retroscena incredibile sul personaggio interpretato da Sylvester Stallone. A filmare e firmare questo lavoro è uno dei cineasti maggiormente apprezzati in Italia, Alex Infascelli. Autore di videoclip, ma anche di film iconici quali “Almost blue” del 2000 e “Il siero della vanità”, del 2004.
Il documentario di Infascelli racconta la storia dell’italiano Raffaele Minichiello, il personaggio che avrebbe ispirato la figura di John Rambo. Minichiello, infatti, era un veterano del Vietnam, italiano originario di Melito Irpino ed emigrato negli USA. Di ritorno dalla guerra che ha segnato gli USA, dirotterà un volo transatlantico. E’ il 31 ottobre del 1969 quando il volo in partenza da Los Angeles e diretto a San Francisco con destinazione finale Roma viene dirottato. Minichiello ha appena 19 anni e riuscirà a portare il volo fino a Roma. Poi, nella Capitale, tenterà una fuga rocambolesca con un’auto della polizia. Ma sarà arrestato.
Di lui parlò anche un intellettuale del calibro di Pier Paolo Pasolini. E ora, la sua storia diventa un documentario che svela questa incredibile vicenda. Infascelli lo fa attraverso immagini e fotografie dell’epoca. Ma anche attraverso la viva voce dei protagonisti. “Kill me if you can” è candidato al Premio Cecilia Mangini per il miglior documentario al David di Donatello 2023. Sarà nelle sale come evento il 27, 28 febbraio e l’1 marzo. Da non perdere.