Nonostante le modifiche del governo c’è un po’ di speranza. Ecco quando il giudice può salvare l’assegno del Reddito di Cittadinanza
Il governo guidato da Giorgia Meloni ha letteralmente annunciato guerra aperta a coloro che percepiscono il Reddito di Cittadinanza, soprattutto per chi avrebbe i requisiti sufficienti per poter lavorare. Si tratta di un’intenzione che la leader del partito Fratelli d’Italia ha annunciato da molto tempo, anche prima di diventare presidente del Consiglio.
Ma c’è un caso particolare che sta facendo scuola e che potrebbe far ben sperare moltissimi dei percettori che stanno rischiando di perdere il beneficio economico che consente loro di vivere e sostenere le spese. Nonostante le modifiche del governo, infatti, potrebbero esserci delle soluzioni per loro. Ecco, infatti, quando il giudice può salvare l’assegno del Reddito di Cittadinanza.
Ecco perché il giudice può salvare l’assegno del Reddito di Cittadinanza
Si tratta del caso di una donna che vive con figlio e a cui l’Inps le ha deciso di togliere il Reddito di Cittadinanza. Si tratta di un episodio che spiega perché il giudice può salvare l’assegno del Reddito di Cittadinanza. Nonostante vivesse con il suo bambino, alla donna le era stato tolto l’importante sussidio. Secondo l’Inps, infatti, vi erano delle incongruenze all’interno delle informazioni, in quanto la donna non risultava essere reperibile presso la sua residenza anagrafica.
Tuttavia, dopo la prima decisione di sospendere il sussidio, il giudice ha fatto in modo che questo venisse restituito, dando ragione al ricorso presentato dalla donna. A seguito della sospensione del sussidio, la donna si è vista inoltre accumulare morosità relative al pagamento delle bollette e dell’affitto per la casa. Tramite gli avvocati Francesca Badalamenti e Luigi Licari, dunque, è stato fatto ricorso d’urgenza, chiedendo anche i danni per quanto riguarda la sospensione del sussidio.
A seguito dell’analisi condotta, la donna ha potuto riottenere l’assegno. Il tribunale di Palermo ha infatti affermato che “la mancata percezione può pregiudicare il diritto a un’esistenza autonoma e dignitosa”. In questo caso, infatti, la residenza effettiva prevale su quella che è la residenza anagrafica, in quanto questa “costituisce solo una presunzione circa il luogo di residenza effettiva che può, quindi, essere oggetto di prova contraria”.
La sentenza
Dunque, il giudice ha deciso di restituire il diritto all’erogazione del sussidio nei confronti della donna facendo riferimento a due testimonianze. Si tratta dell’ex convivente della donna, il quale ha confermato che questa aveva vissuto con lui durante il momento della pandemia. Tuttavia la donna non risulta vivere lì in maniera formale, in quanto il suo convivente risultava essere moroso dell’affitto annuale dell’appartamento.
La conferma è arrivata da un’ulteriore testimonianza offerta da parte di un vicino di casa. Entrambe hanno portato il giudice ad emanare la sentenza in cui sono stati riconosciuti i principi inossidabili, tra cui il diritto ad una esistenza dignitosa. Secondo gli avvocati, infatti, vi era stato un pregiudizio “imminente e irreparabile” delle esigenze alimentari delle donna e della sua famiglia, la quale era priva di reddito.